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Stenio Solinas, per il Giornale, su Alexandre Vialatte

  • Immagine del redattore: Costanza Ciminelli
    Costanza Ciminelli
  • 10 mar
  • Tempo di lettura: 1 min

Titolo che Solinas indica allusivo, I frutti del Congo sono i doni - risorse invero depredate, contrabbandate, mistificate - di un paese simbolo del colonialismo, come della faticosa resistenza novecentesca alla decolonizzazione di molti paesi europei, in primis quelli francofoni, e della diffusa tendenza all'appiattimento culturale, tra stereotipi e pregiudizi.

Il critico ripercorre con accuratezza la genesi letteraria del testo di Vialatte, erede dell'orientalismo e ancora sensibile al fantastico sociale degli anni Dieci e Venti, benché l'epoca della sua prima edizione del testo siano gli anni Cinquanta, e infatti "in controtendenza rispetto al clima culturale del tempo, dov'era l'impegno a tener banco".


Autore eclettico che ha attraversato il Novecento sperimentandone arti e generi, Vialatte è approdato a questo suo terzo e ultimo romanzo nel 1951, candidato per Gallimard al prestigioso Premio Goncourt, infine mancato, ma universalmente considerato un grande classico della letteratura francese del Novecento.


Solinas in una pagina ampia e ricca di riferimenti letterari ne evidenzia il carattere pittoresco, l'esotismo casalingo, la pagina "strabordante di fatti e gesta" e la fantasia immaginifica.

Riscoperto da Prehistorica Editore come "capolavoro dell’avventura immaginata", e "magnificamente tradotto" da Gabriella Bosco,  I frutti del Congo è un romanzo "che ha i colori dell'infanzia e della sua magia".


Recensione integrale:




Maggiori informazioni sul testo e sull'autore:


 
 
 

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