Carmelo Claudio Pistillo, per Libero, su Adalbert Stifter
- Costanza Ciminelli
- 27 apr
- Tempo di lettura: 1 min
Aggiornamento: 9 mag
"L’arte di vivere prima di diventare vecchi": il titolo dell'ampia e approfondita pagina critica evoca il passo saggistico del testo di Stifter, autore austriaco definito da Thomas Mann «uno dei narratori più strani, profondi, celatamente arditi e travolgenti della letteratura universale», encomio illustre e tutt'altro che isolato, tra Nietzsche, Lukàcs e altri maestri del pensiero.
Non dello stesso avviso Thomas Bernhard che, avendolo amato in gioventù, in età adulta ne smonta il mito, tacciandolo di sciatteria, provincialismo, ipocrisia.
Più ancora, l'autore de Il soccombente reputa che l'opera di Stifter non prenda atto del limite profondo dell'essere umano: la sua mortalità e la dimensione permanente del perturbamento, il "lacerante insulto" che la letteratura non può permettersi di trascurare.
Questione di prospettive, non solo di lettura, ma di scrittura: se è vero che in Stifter il trauma e l'ossessione restano in secondo piano, ne sono tuttavia largamente riconosciute l'autorevolezza, la maestria nel rendere l'incanto della natura, che molto cela oltre l'idillio e la mitezza sempre apparenti.
Il racconto, pubblicato in prima edizione nel 1844, è oggi riproposto da Carbonio nella "impeccabile" traduzione di Margherita Carbonaro.
Recensione integrale qui:
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