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Immagine del redattoreCostanza Ciminelli

Francesco Fiorentino, per Alias, il Manifesto, su Adalbert Stifter


Dell'austriaco Stifter, un autore da riscoprire per statura letteraria e prosa poetica,

Fiorentino richiama il contesto storico e culturale, e l'attestazione di stima niente meno che di Thomas Mann che lo aveva definito: «uno dei narratori più strani, profondi, celatamente audaci e travolgenti della letteratura universale».


Il taglio comparativo della pagina aiuta a collocare la sua opera nel particolare contesto

del realismo ottocentesco mitteleuropeo che - osserva il critico - "esibiva una forte resistenza a tematizzare i conflitti sociali egli effetti negativi del processo di industrializzazione. «Per “realismo” non intendiamo la nuda restituzione della vita quotidiana – scrisse Theodor Fontane in un saggio del 1853 – meno che mai delle sue miserie e dei suoi larti oscuri». Era un «realismo poetico», annotò lo scrittore Otto Ludwig, interessato a cogliere la verità nascosta sotto la superficie fenomenica delle cose.

A questo ideale si votò anche Stifter che di fronte ai turbamenti della modernità, optò per una scrittura programmaticamente inattuale, deprivata della visione soggettiva, emotiva, in favore di uno sguardo sulle cose nella loro dimensione oggettiva.

Il racconto, pubblicato la prima volta nel 1844, è oggi riproposto da Carbonio nella nuova, elegante traduzione di Margherita Carbonaro.


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